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La parola agli educatori

“Le mura di una famiglia,
una capsula di emozioni”

Sono un’educatrice di Casa Base Chieri.
Ho conosciuto Casa Base sei mesi fa: iniziando a immaginare il futuro lavoro in Comunità pensavo a un posto dove ci sono dei ragazzi e in cui si fanno attività… e avevo tanti pensieri legati ai libri letti durante l’Università. Entrarci mi ha fatto capire molto altro.

Lavorandoci mi sono presto resa conto che non è un lavoro come gli altri, dove c’è un ufficio o un orario scandito da un programma di attività. Vivere Casa Base e vederla con i vostri occhi vi renderebbe tutto più facile, ma cercherò di raccontarvi quel che sento ogni giorno…

Una volta aperto il portone ci si sente subito accolti dalle mura stesse, perché trasmettono il vissuto di una vera casa in cui mille trame di relazioni si intrecciano fra loro. Come capita di litigare con mamma, papà o tra fratelli, qui si discute con educatori e con i “fratelli” acquisiti, i ragazzi con cui si condividono quegli spazi.

Qui si costruisce una nuova identità collettiva in cui rispecchiarsi: siamo una vera e propria famiglia; sì, ovviamente ci sono situazioni dove i livelli di tensione sono molto alti, ma vengono compensati da momenti in cui si avverte un legame altrettanto forte.

Quando ho accettato questo lavoro non pensavo di trovare e provare un così grande senso di appartenenza, in cui educatori e ragazzi percorrono davvero insieme un pezzo del loro viaggio verso il futuro… Ora che ne faccio parte, mi sento davvero privilegiata.

È una capsula di emozioni. Il turno di lavoro non si conclude mai, perché il legame costruito è così profondo che il pensiero va sempre lì, 24 ore su 24, anche quando si smette di condividere gli stesi spazi.

È questo che fa di noi una vera a propria famiglia, solo un po’ diversa dal solito: una famiglia che questa volta ti sei scelto tu.