Casa Base è una grande comunità, nell’accezione più sincera del termine. È a Chieri dal 1994 e da allora è stata attraversata da tante storie: quelle degli ospiti, degli educatori, degli amici volontari. Non per ultime, quelle di tanti professionisti che hanno incrociato e ancora incrociano i loro passi con quelli dei nostri bambini e ragazzi.
Fra questi, Enrico. Vicepresidente della nostra Cooperativa Paradigma e del CISMAI (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso dell’Infanzia), a Casa Base è psicologo e terapeuta. Cosa significa fare il suo lavoro a Casa Base? Lasciamo a lui la parola!
UN LAVORO
COMPLICATO
Cosa significa fare lo psicologo per il Progetto Casa Base?
Mi è difficile raccontarlo perché lo faccio da tanto tempo… e prima ancora sono stato per molti anni educatore in comunità. Più sei “dentro una cosa” più fatichi a descriverla, ma ci proverò ricordando tre episodi che mi hanno colpito.
Il primo riguarda l’ultima seduta con una mamma che ho seguito a lungo insieme a suo figlio, che alla fine del percorso le è stato riaffidato. Quando le chiesi cosa portasse a casa delle tante sedute insieme mi ha risposto: “il fatto che quando mi guardo allo specchio vedo una mamma migliore – e questo uno psicologo se lo aspetta –, l’averla sentita vicino quando è mancato mio padre, il fatto che ha voluto bene al mio bambino”.
Insomma, i valori umani forse sono più importanti della tecnica.
UN LAVORO
ARRICCHENTE
Il secondo episodio riguarda un bambino a cui ho comunicato che non ce l’avevo fatta a “recuperare” la sua mamma e che non sarebbe tornato a casa con lei. Mi guardò negli occhi e mi chiese quante sedute avessi fatto con lui e quante con la mamma. Risultava che ne avevo fatte più con lui. “Bene – mi disse – allora quando avrai fatto lo stesso numero di sedute anche con la mamma ne riparliamo”. È così feci.
Quando lo rividi gli dissi che avevo fatto quello che mi aveva chiesto, ma che non era andata bene. “Va bene, anche se è triste lo accetto, adesso trovatemi una famiglia adottiva, penso che le cose andranno bene”. Sì, le cose andarono bene.
A volte sono i bambini a guidare i percorsi terapeutici, basta seguirli.
UN LAVORO
EMOZIONANTE
Il terzo episodio riguarda un bambino che in seduta non mi volle parlare a lungo; mi irrideva e diceva che gli psicologi sono stupidi e inutili. Quando gli comunicai che si sarebbe trasferito dalla famiglia affidataria e che il nostro lavoro si sarebbe interrotto, con occhi tristi mi disse: “e ora con chi cavolo faccio il punto della situazione? Non potresti venire con me? Gli affidatari in giardino hanno un capanno e tu potresti dormire lì”.
Non sempre le cose sono come sembrano e i sentimenti veri sono nascosti ai nostri occhi.
Se dovessi scegliere tre aggettivi per il mio lavoro da psicologo – è una cosa che spesso faccio fare con i miei pazienti – la scelta cadrebbe su: complicato, arricchente, emozionante. Arricchente perché, forse, facendo i conti è più quello che ho ricevuto di quello che ho dato.